Memorie di vita in un villaggio di pescatori
Intervista ad un abitante del borgo, Franco D’Arienzo
“Con i vecchi è morto un po’ anche il borghetto” esordisce così Franco D’Arienzo detto “Pallettone”, l’erede dei pescatori immigrati dalla Campania al litorale romano.
Il 4 aprile 1933 vengono inaugurate le sei palazzine del quartiere, ancora esistenti e in buono stato perché ristrutturate in anni recenti. “Questo borgo è nato per merito dell’incidente avvenuto in mare al duce” afferma D’Arienzo, “Nicola Schiano – ancora in vita – stava pescando con la sua barca a remi al largo di Ostia quando vede un motoscafo fermo, si avvicina e si accorge che è quello di Mussolini, che aveva finito la benzina. Allora insieme al nipote Edoardo, che oggi non c’è più, lo aiuta a ripartire. Quando sono a riva il duce si rende conto della povertà di questi pescatori, come mio padre, che vivevano in capanne sulla spiaggia e promette che in cento giorni avrebbe costruito delle abitazioni decorose, il canale e il porto per l’attracco delle barche. E cosi fu”.
Il borghetto fu popolato dalle famiglie D’Arienzo, Pizzuti, Schiano, Ranucci, De Fazio e Nannetti, “arrivate gettando le sciabiche spiaggia spiaggia da Anzio, Procida, Mondragone, Minturno”. Continua “Pallettone”: “i più giovani all’alba caricavano i cesti pieni di pesce sulle spalle e andavano a piedi verso i Castelli romani. La sera tornavano con i cesti pieni di verdura e frutta. Poi con il frutto di una notte del ‘47 particolarmente pescosa, 20-30 quintali, andarono a Roma e con il guadagno di circa 300.000 lire, che oggi sarebbero svariati milioni, comprarono una barca per la pesca azzurra di 12 metri, un “Leoncino” per portare la merce ai mercati generali di Ostiense, e infine fondarono la Cooperativa dei Pescatori, tutt’oggi esistente e della quale il primo presidente aveva lo stesso nome dell’ultimo: Franco D’Arienzo”.
D’Arienzo parla mentre vende il pescato della notte, ma è lo stesso dei pionieri? “Oggi non ci sono più sugheri, maccarelli e totani, ma solo roba di frittura, con lo sfruttamento indiscriminato e la pesca a strascico il mare si è impoverito”. E l’area marina delle Secche di Tor Paterno? “Anche se i controlli non sono frequenti – dice – , ha avuto un effetto positivo, sono ricomparsi la cernia e il dentice”.
E il futuro? “Oggi i giovani non amano lo sforzo e le rinunce per un mestiere come questo e molti prendono altre strade – asserisce -. La manutenzione delle reti e delle barche ha un costo molto elevato. Le ’sogliolare’, che servono per la pesca azzurra, si aggirano sui 5-10.000 euro, che per ammortizzarle devi uscire tutti i giorni.” Certo negli uffici è difficile incontrare i delfini: “è meraviglioso averli intorno, gli manca solo la parola”.
Antonella Giacomini (tratto da Atlante dei Beni Culturali delle Aree Naturali Protette di RomaNatura)